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Raffaele Brancati – 8 novembre 2013

I numeri della politica industriale nel 2012.

Rilevazione MET sulle politiche attuate (prime letture aggregate)

Aspetti generali

La questione degli aiuti di stato all’industria italiana riemerge periodicamente nel dibattito politico ed economico. Due aspetti essenziali, spesso derivati da quantificazioni errate o da aneddotica legata a grandi imprese (si pensi ad Alitalia, o ad altri esempi recenti) assai poco rappresentative del tessuto produttivo italiano dominano le considerazioni svolte comunemente: l’industria italiana è un’industria non competitiva che sopravvive solo grazie a sussidi pubblici, l’entità di aiuti di stato (considerati come ineluttabilmente inefficaci) è tale da rappresentare un bacino consistente cui attingere per alleviare i problemi di finanza pubblica nazionali. In primo luogo i numeri. Esistono due modi per analizzare gli interventi dello Stato: il primo parte dal Bilancio dello Stato, mentre il secondo rileva le spese dei soggetti erogatori. La prima modalità è quella seguita dalla RGS e dal cosiddetto Rapporto Giavazzi eseguito nell’ambito della spending review del 2011-2012. Accanto agli indubbi pregi, questa modalità non riesce (a meno di approfondimenti specifici) a tener conto delle attività dei molti soggetti intermediari pubblici e privati che si occupano della gestione degli interventi e dei ritardi, talvolta consistenti, che si registrano anche in misure spesso considerate erroneamente di immediato impatto come il credito di imposta, né la gestione contabile corrisponde con precisione alle erogazioni reali. Chi si è affidato a tali fonti ha prodotto spesso numeri eclatanti. Vorrei ricordare le numerose dichiarazioni in sedi istituzionali del Senatore Baldassarri che faceva riferimento a circa 50 miliardi di euro/anno di incentivi alle imprese, le cifre analoghe presenti negli editoriali del Prof Giavazzi del periodo 2010-2011, successivamente scese a 30 miliardi di cui almeno 10 prontamente utilizzabili per riduzione delle spese (editoriali di Alesina-Giavazzi ancora sul Corriere nel corso del 2013). Un lavoro più analitico dello stesso autore faceva riferimento a valori prossimi ai 15 miliardi (che includevano ancora Ferrovie dello Stato, ANAS, spese militari e molto altro ancora) inseriti nel rapporto citato e pubblicato per i lavori sulla spending review nel 2012. Rimanendo strettamente ancorati ai settori produttivi privati, al netto dei trasporti, la cifra scende a circa 5 miliardi. La seconda modalità di calcolo del valore degli incentivi, seguita da MET, dal Ministero dello Sviluppo Economico e dall’Unione Europea -DG Concorrenza- , cerca di quantificare le risorse effettivamente incassate dalle imprese. Ciò che noi (MET) aggiungiamo è anche il tentativo di non considerare allo stesso modo erogazioni non rimborsabili e prestiti che le imprese devono restituire facendo ricorso a una trasformazione finanziaria generalmente riconosciuta e accettata in letteratura e nei regolamenti comunitari (il cosiddetto Equivalente Sovvenzione delle diverse misure). Il risultato (molto attendibile per l’industria) è una cifra di poco superiore ai 2 miliardi nel 2011 e nel 2012, cifra del tutto analoga a quanto indicato dalle rilevazioni della Unione Europea. Ha senso tutto questo sproloquio su numeri e contabilità? Si, se si considera che le quantità sono decisive per poter ipotizzare strategie di sostituzione di misure di politiche economiche. Se si tratta di 30 miliardi possiamo ipotizzare la sostituzione pressoché integrale dell’IRAP, se sono 10 miliardi le cose cambiano radicalmente ma qualcosa di significativo può essere ipotizzato, se stiamo parlando di 5, 3 o 2 miliardi forse una logica di attenta selettività può essere più opportuna di improbabili scambi. Ma se da questioni meramente ideologiche si passa alla reale possibilità di gestione (cos’altro dovrebbe fare un’amministrazione?), le cose sono ancora diverse e tagliano completamente le possibilità spesso evocate da tutti gli opinionisti che distrattamente si occupano della materia. Un documento ufficiale delle Sezioni riunite della Corte dei Conti del Maggio 2013 (Rapporto 2013 sul coordinamento della finanza pubblica) smentisce totalmente le tesi sulla grande disponibilità di risorse rivenienti dall’abolizione dei cosiddetti incentivi e recita testualmente. “L’esame condotto porta a ritenere che gli importi su cui è possibile ipotizzare uno spazio di razionalizzazione sono, almeno nel breve periodo, molto più ristretti di quelli ipotizzati. A fronte infatti di stanziamenti sul bilancio 2012…(sono i circa 15 miliardi del rapporto Giavazzi)… gli spazi effettivi di manovra sulle spese concretamente eliminabili possono stimarsi in 1.378 milioni per il 2012 (589 milioni per il 2013 e 572 milioni per il 2014)…..” Le spese per la politica industriale non sono ben gestite, i loro effetti sono spesso deludenti e hanno molti problemi: le questioni da affrontare sono molto serie (ancor più in una fase di crisi drammatica), ma non è opportuno discutere di quantità errate. Del resto non è accettabile l’ineluttabilità di politiche mal realizzate. Non credo sia accettabile un dibattito basato su un’alternativa secca: mantenere le spese per il sostegno alle imprese o cancellarle. La maggiore attenzione dovrebbe essere, piuttosto, sul come realizzare queste politiche, ovvero su come rendere efficaci risorse inevitabilmente scarse che devono trovare modalità operative strumenti e procedure adeguati partendo dai bisogni delle imprese e non da un generico disegno amministrativo più o meno di moda tra opinion leader.

Erogazioni della Politica industriale in Italia (milioni di euro), Industria in senso stretto e servizi alla produzione.

Serie storica agevolazioni 1999-2012

  I dati del 2012: prime e sommarie indicazioni

  • Gli importi complessivi erogati rimangono all’incirca invariati tra il 2011 e il 2012 su livelli ridotti: 2,2 miliardi in valori nominali nell’ultimo anno. Considerando le variazioni dei prezzi per i beni di investimento il calo delle risorse erogate tra il 2002 e il 2012 è stato di oltre il 70%.
  • Le dimensioni sono molto modeste se comparate con gli ambiziosi obiettivi che vengono posti a tali politiche e molto bassi rispetto a quanto realizzano (in termini finanziari) i partners europei nella stessa famiglia di interventi: in rapporto al PIL le spese per aiuti si collocano su valori molto inferiori alla metà di quelli della Germania e della Francia, quasi la metà della Spagna e inferiori persino ai valori della Gran Bretagna.
  • Le differenze tra regioni sono eclatanti. Si assiste a una sostanziale tenuta delle erogazioni nelle regioni del nord-ovest e nelle regioni a statuto speciale del nord-est, oltre che nell’Emilia Romagna. Valori oscillanti, ma con una relativa stabilità in Veneto, Toscana e Lazio. Crollo nelle regioni meridionali, pur in presenza degli interventi a valere sui fondi comunitari.
  • In un decennio la Campania passa da 1083 a 283 milioni per anno, la Puglia da 878 a 206, la Calabria da 591 a 87, la Sicilia da 822 a 135, la Sardegna da 467 a 40. Le erogazioni del Sud passano dal 71% di circa 6 miliardi al 38% di 2 miliardi.
  • Si tratta presumibilmente della combinazione tra un sistema produttivo industriale in grande difficoltà che non riesce neppure a domandare interventi in misura adeguata nei campi in cui si stanno orientando le politiche (R&S, Innovazione e Internazionalizzazione) e un sistema di offerta da parte dei governi nazionale e regionali che non sempre si rivela adatto al sistema produttivo nelle forme e nei processi adottati e manca di politiche di accompagnamento.
  • Nelle regioni meridionali si osserva una netta dicotomia tra la forte incidenza degli interventi per la Ricerca (in buona misura sostenuti anche dai programmi comunitari) e il peso del sostegno all’autoimpiego delle categorie svantaggiate (in primis inoccupati). Del tutto assenti risultano gli interventi a sostegno dell’internazionalizzazione. Nelle regioni del Centro-Nord, viceversa, alla forte prevalenza del Fondo Innovazione Tecnologica, si accompagna il rilievo del credito alle esportazioni.
  • Gli orientamenti sono anche il frutto degli strumenti principali attivi in Italia. Negli anni c’è stato un forte aumento del peso degli interventi regionali sul totale. Le Regioni gestivano tra il 10% e il 15% delle politiche industriali italiane all’inizio del decennio e superano il 35% nel 2012. Le amministrazioni più efficienti sono riuscite a sostenere meglio il livello di risorse erogate.
  • Gli strumenti principali della politica industriale continuano ad essere quelli nazionali e in particolare quelli dedicati alla R&S e all’Innovazione (Fondo Ricerca Applicata del MUR e Fondo Innovazione Tecnologica del MISE) con oltre 600 milioni nell’ultimo anno, e quelli dedicati al sostegno delle esportazioni.
  • La combinazione tra una scarsa capacità di attingere a risorse nazionali e una scarsa incidenza delle politiche regionali indebolisce fortemente la posizione delle regioni meridionali.
  • Gli interventi per garanzie pubbliche a sostegno dell’accesso al credito delle imprese (contabilizzato separatamente rispetto ai 2 miliardi per la sottostima derivante dal calcolo dell’Equivalente Sovvenzione per questa tipologia di interventi) si mantengono al livello dei 4 miliardi di garanzie prestate a valere sul Fondo Centrale di Garanzia cui si aggiungono gli interventi regionali che hanno avuto circa 160 milioni di nuovi conferimenti ai fondi. Anche in questo caso forte sperequazione tra Centro nord e Sud.
  • Se si confrontano i valori esposti con le dimensioni, nonostante tutto ancora molto ragguardevoli, dell’industria italiana si rileva in tutta evidenza come parlare di industria italiana come di industria “sussidiata” appare in media privo di fondamento. Appare errato persino se si prende come riferimento l’industria meridionale e quella delle regioni più deboli.
  • I fondi in oggetto sono sicuramente pochi in assoluto, del tutto inadeguati in relazione ai livelli di spesa dei partners e dei concorrenti internazionali (vedi Rapporto MET 2012), sicuramente non in grado di incidere in misura decisa sugli equilibri di finanza pubblica.
  • Gli interventi, sia pur modesti, meritano molta maggiore attenzione per accrescerne almeno le potenzialità in termini di risultati, attenzione sulle modalità di intervento e sulle forme delle politiche per accrescere radicalmente l’efficacia delle stesse.

Distribuzione delle erogazioni per obiettivo prevalente, medie nei bienni 2002-2003 e 2011-2012, valori percentuali.

Obiettivi Politica Industriale

 Principali strumenti con erogazioni nel triennio 2010-2012 a favore di industria e servizi alla produzione, totale nazionale, milioni di euro.

Strumenti Politica Industriale